martedì 30 aprile 2013

Un nuovo paio (di scarpe?)

In questi giorni mi sento in gabbia.
Non mi sento a mio agio in nessun posto, con nessuna persona.
Non del tutto almeno.
Con alcuni e in certi posti sto meglio.
Con i vecchi amici ad esempio, e in posti poco frequentati, in cui posso stare sola, seduta su una panchina sotto la pioggia, le ginocchia contro il petto e il cappuccio dell'impermeabile tirato su.
Questa pioggia non mi tocca.
O come al cinema, in solitudine in mezzo a fin troppa gente a vedere un film - Come un tuono - che qualche lacrima me la fa versare.
Ci sono troppe cose in questo periodo che non sono andate e non vanno come vorrei. E lo so che non posso controllare tutto, ma questo non mi impedisce di viverla male.
Ero convinta di non avere più energie, di voler solo buttarmi sul letto e non alzarmi finché qualcosa, qualcuno (ma cosa? ma chi?) mi avrebbe portata via da questo torpore.
E allora, per paura che fosse così, mi sono sobbarcata di impegni, uscendo tutti i giorni e tutte le sere, stremando mente e corpo e concedendomi il minimo di riposo.
Oggi ho usato la cartina tornasole, che nel mio caso è il canto.
Avevo lezione. Non ero nemmeno troppo convinta di andare, umore pessimo, temperatura afosa (con la pressione bassa è un amore).
Decido che vado, male che vada va male, se ne aggiunge una alle varie cose che non stanno andando.
E invece.
Invece salgo e forse lo faccio come non lo ho mai fatto.
E pur consapevole che la strada è ardua, in salita, tortuosa e ancora lunga sono felice.
Perché ho capito che ho tanta energia e che questa sensazione di stare in gabbia deriva sì dalla delusione in vari campi della vita ma anche dal sentire premere questa forza e non sapere come incanalarla (dopotutto in quello che volevo ce l'ho messa e non ne è andata una).
Poco male.
Ora va meglio.
Poi conoscendomi è probabilmente un periodo di alti e bassi, ma pazienza.
Una cosa buffa: domani volevo andare a correre.
Ma la gatta, sì, la gatta, mi ha nascosto una delle scarpe.
Seriamente.
Non si trova.
L'ha cercata mia mamma.
L'ho cercata io.
Nulla.
Dovrò comprarmi un nuovo paio di scarpe per correre.

lunedì 29 aprile 2013

Altre no.

La morbidezza di uno sguardo,
il fiato che manca,
un tuffo al cuore.
Quanto è reale tutto questo, quanto è dolce, doloroso e inutile.
Inutile perché come può essere utile stare così?
Ma forse siamo solo bambini che vogliono il giocattolo che i genitori non gli comprano.
E anche ottenessimo quello che vogliamo poi lo metteremmo da parte, lo daremmo per scontato - ormai è nostro - e perderemmo quelle emozioni che lo rendono così importante.
Forse è una cazzata, ma cosa puoi fare a volte nella vita se non raccontarti frottole assurde al solo scopo di smettere di soffrire, di andare avanti?
Il problema è che per quanto si possa essere attori - anche con sè stessi - per quanto possa in parte funzionare non ci convinceremo mai del tutto.
Semplicemente certe cose a un certo punto te le lasci alle spalle, senza rimorsi, senza rimpianti.
Altre no.

I dettagli dell'esistere

Hai chiaro cosa vuoi, ma non puoi far nulla perché ciò accada.
Le contingenze non sono dettagli, determinano ciò che è e ciò che non è.
E a volte ci si sente deboli, sopraffatti dagli eventi, incapaci di cambiarli.
E mi faccio trascinare, non combatto.
Poi però ricresce il sentimento dell'orgoglio;
torno con i piedi per terra.
Certe cose non le puoi cambiare.
Poco importa aver perso un numero, magari l'avrei anche digitato, ma il tasto verde chiama non l'avrei premuto.
Perché alle domande che avrei non c'è risposta, o forse c'è e farebbe ancor più male, o forse - è già successo - le risposte mi verrebbero negate.
Poco importa averlo un numero se usarlo non cambia la situazione, ma evidenzia ancor più come questa sia la situazione e come essa, almeno nell'immediato, non possa essere cambiata.

venerdì 26 aprile 2013

Survivors

Uno sguardo vero, sincero, da un'estranea. Grazie. Questo mondo ultimamente mi sembra così finto e intriso di cose troppo complesse che uno sguardo casuale con tanto di sorriso mi ha riempita di sorpresa e gioia.
E poi un segno di amicizia inaspettato.
E poi un colpo al cuore inferto, affondato.
L'orologio col suo tichettio mi ricorda il tempo che passa e quello che è passato.
Il cielo, non più sereno, è in completo accordo col mio cuore.
E scrivere parole di getto serve a poco, e le lacrime ricacciate indietro - io sono forte - bruciano.
Staccare - ecco cosa vorrei - ma del tutto.
Niente telefono, niente internet, niente di niente e nessuno.
Ma mi faccio violenza - questo mondo ne è pieno - e continuo a sopravvivere.
Vivere è altro.

Burned

Mi sto spellando.
Scottata.
E non è solo il sole.
Il sole brucia, la pelle si rimargina.
Ma le ferite del cuore?
Si rimargineranno anche quelle.
Solo che ci vorrà tempo.
Che stupida; sempre a sognare a occhi aperti.
I sogni non si avverano.
O, se si avverano, non nel modo in cui tu avevi previsto.
Non si può controllare tutto.
Meno che mai quel che si prova.
E brucia.
E vedo la carne, e vedo le ossa.
E mi circondo di libri, impegni e chiacchiere a vuoto per colmare quello, di vuoto, che ho dentro.


mercoledì 24 aprile 2013

C'è musica nell'aria

Ragazzi che suonano e cantano in un pomeriggio di calda primavera al polo universitario di Novoli.
E ti senti un po' più a casa del solito, senti quegli spazi più tuoi, più affini.
Il sole ti accarezza la pelle, risplende sulle corde e intanto foto scattate, sigarette fumate, risate.
L'università può, deve, essere anche questo.

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Per alcune cose, per quanto tu le voglia, per quanto sembrino a un passo dal realizzarsi, ci vuole tempo.
Ci vuole tempo per rimarginare ferite passate.
Ci vuole tempo per accettare che la realtà cambia, indipendentemente da ciò che vogliamo noi.
Ci vuole tempo perché nuovi equilibri si stabiliscano senza offendere quelli antichi.
Accetto, senza rassegnazione, questo tempo necessario.
Lo accetto con la convinzione che serva, che mi, ci, porterà da qualche parte.
Io che aspetto.
Che strana che è la vita.

To Rome

Soffitto del Pantheon 
Stesi sul prato a prendere il sole.
Stesa, ma dall'allergia.
Mi alzo, c'è un treno da prendere.
Direzione Roma.
Saluti frettolosi; salgo sull'autobus.
E perdo il cellulare. O me lo rubano. O lo perdo e poi me lo rubano.
Fatto sta che arrivo a Santa Maria Novella, lo cerco e non lo trovo.
Mi prende il panico.
E' ora, devo andare, mi aspettano e i biglietti sono a mio nome.
Cerco il telefono, risalgo sull'autobus, ma nulla.
Sto per mettermi a piangere: non abbiamo fissato nemmeno un posto preciso dove incontrarci.
La stazione non è particolarmente grande ma è sufficientemente caotica da non permettermi di trovare i miei compagni di viaggio per un buon quarto d'ora.
Per fortuna eravamo in anticipo e il treno in ritardo.
Poi, nel momento in cui mi do per vinta, dirigendomi all'ufficio di Italo per chiedere quale fosse il mio treno e come fare, vedo L.
Dal sollievo quasi mi metto a piangere!
Certo, parto senza telefono.
Non mi scoccia per il telefono in sé, era carino ma non uno di questi smartphone che vanno adesso.
Era un telefono senza troppe pretese.
Ma c'era la mia rubrica dentro, e tanti messaggini che mi è dispiaciuto perdere.
Comunque.
Tre giorni senza telefono.
E' strano.
Ti rendi conto che ci sono persone che non hai altro modo di contattare. (Un telegramma? Un piccione viaggiatore?)
Ti viene paura di perderle, quelle persone, per il solo fatto di non riuscire a contattarle per qualche giorno via cellullare.
Caso vuole che stia leggendo un libro - Non so niente di te- che parla anche di questo.
Parla di un figlio che non è chi pensa che sia la sua famiglia. 
Parla del fatto che siamo sempre così sicuri e affidati alla tecnologia che quando essa viene meno ci sentiamo persi, spaesati.
Metto da parte il panico: sono pochi giorni, mi farò risentire appena mi sarà possibile.
E se sarà troppo tardi be', non doveva andare.
In un'ora e mezzo siamo a Roma.
E mi rendo conto che ci sono posti, strade, in cui non vado da anni, ma che ricordo perfettamente.
E mi viene in mente Parigi, le cui strade invece cominciano ad avere contorni indefiniti nella mia mente.
Appena potrò tornerò...

venerdì 19 aprile 2013

Controtempo, contromano

Giornate intense.
Giornate in cui il sole splende, ma è solo fuori.
E mi si legge in faccia.
Divento assorta, il miei pensieri mi tradiscono manifestandosi chiari sul viso.
Stamani mi sono resa conto che sebbene ti pensi spesso - sì, proprio te che presumibilmente mai leggerai queste righe, te che a malapena sai il mio nome, così legato al tuo, te, che hai scelto una vita senza di me- nonostante ancora la notte a volte pianga al pensiero di quello che poteva essere e non è, alla consapevolezza di non poter nemmeno immaginare cosa avrebbe potuto essere - tu sì che non ci hai dato tempo- non ti cerco più.
Per anni ti ho cercato nei volti di sconosciuti, ho evitato -consciamente e non- i posti che sapevo frequentavi.
Per anni ho immaginato incontri casuali mai avvenuti.
E sai cosa succedeva in quegli incontri fittizi? Scappavi. Correvi fisicamente via, lontano da me.
Che a ben vedere non è nemmeno una gran metafora di quel che è successo.
Questo anno mi sono riscoperta a calpestare i posti della tua quotidianità, ti ho scoperto forse affine in cose che non avrei mai ritenuto giuste per me.
Avrei voluto condividerle.
A volte vorrei prendere una gomma e cancellare il male che mi hai fatto e ti sei fatto e quello che ci siamo fatti a vicenda.
Vorrei smetterla di pagare le conseguenze di qualcosa di cui non ho colpa.
Ma la colpa in fondo, di chi è?
A volte ancora mi scopro arrabbiata, perché non ci voleva tanto, ma forse per te era comunque troppo- chi sono io per giudicare?
Quanto manca ciò che non si è mai avuto.
Forse più di quel che si è avuto e viene a mancare; forse è solo un mancare in modo diverso.
Ma l'idealizzazione è una gran stronza, ti può rovinare la vita che è un piacere se glielo permetti.
Mantenere i piedi per terra gemellina, il tempo per volare è scaduto.
Ma se la mia mente vaga, inquieta, che posso farci?
Non esiste in tasto OFF. 
E così un'altra notte insonne si aggiunge alla lista di quelle notti passate che da tanto non erano così simili a questa.
Ma questa è diversa.
Questa non riguarda te.
Questo è controtempo, contromano.
Questa mi ha presa alla sprovvista.
Mi ha scossa, perché non l'aspettavo.
Non aspettavo quelle emozioni che invece mi hanno sconvolta.
E non so dove metterle, come incanalarle e mi sento un animale in gabbia che vede il mondo fuori ma non può farne parte.
Ogni volta che apro un blog mi riprometto di non andare sul personale, ci sto riuscendo alla grande.
Comunque.
Sarà che la giornata è cominciata con un paio di calzini spaiati di cui uno messo al contrario.
Sarà l'ennesima bocciatura, sebbene per poco.
Saranno le lacrime che non aspettavo e invece c'erano e m'hanno teso un'imboscata.
Ma io ci vado controtempo e contromano.
E farà male e cadrò e tutto quello che vogliamo.
Ma se intravedi un brillio di quel genere non ti puoi dare per vinto.
E io l'ho visto.
Intanto mi prendo due giorni a Roma con la vecchia compagnia del liceo.
Respirando profumi (smog e polline, ecco, mi devo portare il ribes nigrum) di un'altra città.

mercoledì 17 aprile 2013

Catturandi

Faccio parte di un collettivo di ateneo dell'università di Firenze, gli Studenti di Sinistra. 
Per oggi, in ricordo di Chelazzi, avevamo organizzato un incontro che girava attorno alla figura di "I.M.D." che lavora alla sezione catturandi della squadra mobile di Palermo. 
E' stato un incontro molto interessante e anche divertente.
Aneddoti di vita privata mischiati a fatti storici, tutto condito con un bel sorriso e un'inflessione siciliana.
Purtroppo avevamo l'aula prenotata per quello che secondo me è stato troppo poco tempo, mi sarebbe piaciuto ascoltare ancora e ancora, ma c'era lezione e quindi nada.
In compenso ora tra le mie manine c'è una copia di "Catturandi", il libro che I.M.D. ha scritto.
A breve lo leggerò.
E non vedo l'ora!

martedì 16 aprile 2013

Castelli di carta

A volte i sogni, come castelli di carta di cui si è così orgogliosi, basta un soffio di vento e cadono rovinosamente a terra.
Non si ricomporranno mai più.
Lasciano un vuoto colmo di macerie, cadaveri di illusioni sull'arduo sentiero chiamato vita.
Ma sognare è così bello, e sognare l'amore vero, quello eterno, platonico e passionale allo stesso tempo, è umano.
Poi c'è la realtà.
E a volte i conti non tornano.
A volte rimangono solo sguardi di tenerezza e di affetto e l'amore -puff- non c'è più, svanito.
Dove sia andato non è dato sapere.
Che sia come l'energia, che non si crea nè si distrugge, che cambia solo forma riversandosi da un corpo all'altro?
Non lo so.
Quando un amore finisce hai perso qualcosa, ma nel perderla hai anche donato e acquisito altro.
Una sorta di scambio c'è sempre.
Magari è più favorevole in un verso piuttosto che un altro, un po' come le reazioni chimiche.
Magari un amore è termodinamicamente possibile, ma cineticamente no e ci vorrebbero dei catalizzatori e magari non sono disponibili o semplicemente non esistono.
Ma è davvero possibile razionalizzare l'amore?
Non credo.
A un certo punto uno si ritiene innamorato, ad un altro si accorge che non è più così.
A quel punto le cause passano in secondo piano, non sono più recuperabili.
Le priorità cambiano.
E presto o tardi ci si innamora di nuovo, della vita, di sè stessi, di un'altra persona che incontriamo sul nostro cammino.


Cavalli in riva al mare, il motore si accende

E poi il sole è arrivato.
E' arrivato e ha anche un nome nuovo.
E' arrivato e non mi butto più giù, perché lui, il sole, c'è.
E il mondo assume altre tonalità, il vento sospira felice quel desiderio esaudito di luce.
I fiori sbocciano.
Iris, tromboncini, tulipani ovunque.
E anche le prime rose.
Oggi ho provato a fotografarle per poi rendermi conto che la pellicola non era avanzata. E quando sono tornata indietro le pile di sono scaricate e quindi amen, sarà per la prossima. Poco importa, considerando che venerdì la povera Cosina era rimasta incidentata e ora invece funziona! e il simpatico vecchietto dell'ottica dove sviluppo mi ha fatto il lavoro senza nemmeno voler essere pagato.
E' nato come un rullino sfortunato questo, sarà anche pieno di infiltrazioni di luce perché il retro della reflex si chiude male e non avevo lo scotch per fermarlo. Poco male. Sarà una sorpresa e magari nemmeno così negativa.
POI.
Ieri.
Il mare.
Il sole.
Il vento.
E ero felice. Felice del suono dell'acqua fredda che si infrange lenta sulla riva, felice della sabbia calda sotto i piedi, felice di essere baciata dal sole.
Ovviamente mi sono scottata. Eh, a non mettersi la crema...poco male, non sembra grave e ho la crema all'aloe, che adoro perché lenitiva, fresca e non appiccicosa.
Odio le creme appiccicose. A quel punto meglio un olio puro, come quello di mandorle dolci e di argan.
Quello stesso olio di mandorle di cui mia mamma si spalmava ogni estate in Calabria per poi spalmare ben bene anche me.
L'argan l'ho scoperto da grande, e lo uso come struccante e al posto delle salviettine struccanti post depilazione.
Ma le creme...no, non fanno per me.
Nel tragitto di ritorno incontri in treno persone che ti regalano qualcosa, anche solo un sorriso.
Sulla spiaggia un ragazzo di lascia un braccialetto.
E qual è il modo migliore di cominciare la stagione calda mangiando una mela, prendendo il sole, pranzando con uno yogurt e con un braccialetto di quelli basic, ma che fanno tanto estate?
Non c'è.
E dopo lo yogurt pure un'altra mela, regalataci dalla commessa.
Sono gioie piccole, ma vere.
Come gli aquiloni che si libravano leggeri nell'aria.
Come i cavalli in riva al mare.

 







venerdì 5 aprile 2013

In un giorno di pioggia andando in bici non ho preso l'acqua

Voglio il sole.
Seriamente, di questa pioggia, di questo grigiore, di questa noia ne ho abbastanza.
Ho bisogno della luce, dell'energia.
Di vivere.
Di amare.
Di essere amata.
A volte essere felici sembra impossibile.



Forse la felicità è quel volo che non potrai mai fare.
Foto scattata alla scorsa festa medievale a Monteriggioni, dopo numerosi tentativi, con enorme soddisfazione anche se in digitale (l'amore per la pellicola è qualcosa di unico. almeno, per ora non mi sono stancata, e non è da me. Forse almeno un amore durerà.)
E sì, il titolo è così.